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Lezione IV Principio di Auctoritas

Una lezione con molti "ismi". Perdonate me per la lungaggine e per il copia-incolla: sono le pagine del libro di testo adottato dai vostri colleghi di Scienze Umane, il più adottato degli anni Duemila: Dal testo alla storia dalla storia al testo. (Baldi - Giusso - Razetti - Zaccaria)

IL PRINCIPIO DI AUCTORITAS 

L'ordine del creato, in quanto provvidenziale e voluto da Dio, è ritenuto perfetto e immutabile. Nella mentalità comune non vi è l'impulso a trasformare, a rinnovare continuamente istituzioni, rapporti sociali, modi di produzione, idee, che caratterizza il nostro mondo moderno.
La mentalità comune non era attrezzata a pensare la trasformazione, non la concepiva e non l'avvertiva. Non considerava originalità e progresso come valori.

Si riteneva che la verità fosse data una volta per tutte, consegnata definitivamente alla rivelazione delle sacre scritture e all'auctoritas dei grandi pensatori, dei teologici cristiani come dei filosofi antichi. Conoscere può voler dire solo accettare tale verità e riprodurla nella forma in cui è stata tramandata. Questa accettazione esime da ogni verifica diretta: vero non è ciò che si può constatare, ma ciò che hanno trasmesso la tradizione e l'auctoritas.


Lo scriptorium del Nome della rosa

L'ENCICLOPEDISMO E LA SCOLASTICA. RAZIONALISMO NELLA FILOSOFIA MEDIEVALE. 

Se la molteplicità e la varietà delle forme del reale è tutta riconducibile a un ordine divino che la riduce a perfetta unità, anche la conoscenza di quelle forme non può che tendere ad un sistema unitario. Il sapere deve comprendere tutta la realtà, e deve essere sistemato in un ordine che rispecchi quello oggettivo del mondo. E siccome il centro da cui tutto procede è Dio, tutti i settori del sapere devono essere subordinati alla scienza di Dio, la teologia. 
Questo modello enciclopedico presiede alla formazione dell'intellettuale: l'uomo dotto non è uno specialista, ma deve possedere tutto lo scibile.
Il sapere enciclopedico è proprio di molte opere medievali, in particolare delle grandi summae filosofiche.
Il tentativo più grandioso di sistemare tutto il reale negli schemi di un sapere unitario, sulla base della teologia, è quello compiuto dalla Scolastica.

Essa fu una scuola filosofica, nata nelle scuole monastiche e affermatasi poi tra il XII e il XIII secolo nelle grandi università come Parigi e mirò a costruire un edificio coerente di pensiero, in cui la fede cristiana si basasse sui fondamenti della ragione. Questo edificio si valse soprattutto delle basi della filosofia di Aristotele, che fu diffusa nell'Occidente medievale grazie ai commenti dei filosofi arabi Avicenna e Averroé: essi valorizzavano la componente razionalistica del sistema aristotelico, svalutando invece quella mediazione sulla metafisica e sulla divinità che poteva accordarsi con le verità cristiane. [...] Il maggiore pensatore della Scolastica fu il domenicano Tommaso d'Aquino

TRASCENDENZA, ASCETISMO E MISTICISMO

La sistemazione di Tommaso incontrò però l'opposizione di un'altra corrente di pensiero, che si rifaceva ad Agostino e Platone, e di cui furono esponenti teologi provenienti dall'ordine francescano, come Bonaventura da Bagnoregio . Essi si opponevano alla soluzione tomistica di fondare la fede sulla ragione: per essi la fede era un fatto primario, che con la ragione non aveva nulla a che vedere. Il rapporto con la divinità non poteva essere mediato dalla ragione, ma doveva essere uno slancio fervido d'amore, in cui tutta la personalità si annullava, identificandosi con Dio.

Se in Tommaso si esprimeva la tendenza razionalistica del pensiero medievale, in queste posizioni culminava l'altra grande tendenza, quella mistica. Particolarmente vivace, in questo senso, è la scuola di Chartres, nella quale viene elaborata, soprattutto da parte di Guglielmo di Conches e Gilberto Porrettano, la nuova metafisica platonico-cristiana.

Se solo Dio è suprema perfezione e verità, ciò significa che tutto ciò che è vero e perfetto è al di là del mondo visibile; il mondo è solo un'apparenza imperfetta e passeggera. La tensione al trascendente che caratterizza la visione medievale implica perciò la svalutazione della vita terrena. Il fine della vita umana non è su questa terra, ma è il raggiungimento della salvezza eterna. L'ostacolo a ciò è il peso della carne, con i suoi falsi beni che lo sviano verso obiettivi ingannevoli, allontanandolo dalla sua meta. Quindi è necessario distaccarsi dalle vane apparenze e dei falsi beni, rinunciare ai piaceri, mortificare la carne, da cui scaturisce il desiderio. E' questo l'atteggiamento ascetico, uno degli aspetti più tipici e diffusi della spiritualità medievale. La visione ascetica porta al disprezzo del mondo e della vita terrena, vista come un cumulo di miserie, sofferenze e brutture disgustose, come qualcosa di inconsistente e passeggero, dominato dalla presenza incombente della morte.
Questo atteggiamento trova espressione in tante altre opere di ispirazione religiosa, la più tipica delle quali è il "De contemptu mundi" (Il disprezzo del mondo) di Lorenzo di Segni, il futuro papa Innocenzo III (fine secolo XIII).
Ma ce ne è un'altra, con lo stesso titolo, ma più antica che, come abbiamo visto tre lezioni fa ha ispirato, almeno nel titolo il Nome della rosa

Caesar et nudus es et prope nullus es; O ferus ille!
Nunc ubi Marius atque Fabricius, inscius auri?
Mors ubi nobilis et memorabilis actio Pauli?
Diva Philippica vox ubi coelica nunc Ciceronis?
Pax ubi civibus atque rebellibus ira Catonis?              [950]
Nunc ubi Regulus aut ubi Romulus aut ubi Remus?
Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus.
Quam cito labilis atque volubilis orbita sphaerae;
Corda valentia, corpora fortia praeteriere.
Et breve floruit et cito corruit unda priorum,              [951]
Gloria finiit, area transiit omnis eorum.

La religiosità medievale non sfocia solo nel disprezzo del mondo, basta pensare alla regola di San Benedetto che auspica una partecipazione attiva del cristiano alla vita produttiva. Anche la visione francescana non disprezza il mondo, anzi esalta la bellezza del creato e abbraccia fraternamente tutte le creature come opera di Dio. Le creature terrene sono amate dal santo in quanto "portano significazione" del creatore, sono simboli della realtà sovrannaturale.

L'UNIVERSALISMO

L'idea dell'universalità dell'ordine voluto da Dio si trasferisce nelle concezioni universalistiche dell'ordine terreno. I due massimi poteri, nella sfera spirituale e in quella temporale, cioè la Chiesa e l'Impero, derivano la loro autorità da Dio, quindi non possono che essere universali. Anche i compiti delle due istituzioni universali rispondono ad un unico disegno provvidenziale, che prevede per esse finalità specifiche e distinte. Per questo l'Impero è "sacro", in quanto voluto da Dio per i suoi fini provvidenziali. A sua volta la Chiesa ha la prerogativa di sanzionare il potere politico, incoronando gli imperatori. Questa visione universalistica contrasta con la realtà della vita medievale, che è dominata dal particolarismo, in cui il potere reale è nelle mani di una miriade di grandi e piccoli feudatari. Le grandi idee guida rispecchiano le aspirazioni dominanti e costituiscono una proiezione rovesciata della realtà.


CRISTIANESIMO MEDIEVALE E CLASSICITA'

Già i primi pensatori cristiani tra il II e il IV secolo d. C. dovettero affrontare il problema dei legami con la grande tradizione della cultura greco- latina, che vantava un altissimo prestigio e in cui essi stessi si erano formati, ma che si fondava spesso su valori opposti a quelli del cristianesimo. Prevale all'inizio, come nel caso di Tertulliano (160-220 ca.), un atteggiamento di condanna nei confronti della cultura precedente, considerata quasi ispirata al demonio, fonte di deviazioni e di errori.
Un atteggiamento del genere appare, a volte, frutto di una dura conquista e di un profondo dissidio interiore. E' rimasta celebre la frase, pronunciata da san Girolamo ("Sono ciceroniano, non cristiano"), che denuncia la colpa di sentirsi diviso fra ammirazione per i capolavori della letteratura classica e la necessità morale di condannarla e rifiutarla.
Spesso la conversione era intervenuta quando già l'educazione classica era stata assimilata e perfezionata. E' il caso di sant'Agostino, che diventerà una delle voci più autorevoli nella cultura medievale. Sant'Agostino propone un rapporto con la cultura classica che non implichi una condanna indiscriminata, ma sappia distinguere criticamente, all'interno di questa, ciò che è buono da ciò che è invece contrario alla nuova fede. Molti scrittori dell'antichità, pur essendo vissuti prima della rivelazione, si sono fatti portavoce di idee filosofiche e morali che non contrastano con la visione del mondo cristiana; questo patrimonio deve essere rivalutato dal cristianesimo, che lo riprende e se ne appropria, per condurlo ad una più alta forma di perfezione. Del resto, la concezione provvidenziale di tutta la storia, propria del cristianesimo, induceva a giustificare anche le età precedenti, valutate da Dio come preparazione della venuta di Cristo. Di qui doveva nascere l'idea che anche la letteratura classica potesse avere un significato positivo, in quanto prefigurava e anticipava le verità del cristianesimo.
Per questo nel Medioevo si sviluppo un modo di leggere i classici che mirava a cogliere, dietro la superficie del senso letterale, dei sensi riposti, che conclamavano con le verità rivelate. Ad esempio Fulgenzio (VI secolo d.C.), nell' "Expositio Vergilianae Continentiae" individua nel racconto delle peregrinazioni e delle lotte di Enea un significato morale, la vicenda dell'anima che, attraverso prove e ostacoli, approda alla salvezza. Il procedimento era forzato e anacronistico, ed introduceva nei testi classici sensi che i loro autori non avrebbero mai pensato di porre; comunque questa lettura implicava pur sempre un confronto con le opere del passato. 
L'idea di un Medioevo "barbaro", ignaro della tradizione culturale del mondo antico, è falsa. Il Medioevo ebbe al contrario vasti e profondi legami con la cultura classica. Semplicemente, la interpretava secondo le proprie prospettive, operando una radicale opera di attuazione.


L'ALLEGORISMO

L'idea dell'unità del cosmo, racchiuso in un ordine mirabile voluto da Dio, in cui ogni elemento ha una collocazione e un senso e si collega con tutti gli altri elementi è alla base di un altro aspetto caratterizzante il Medioevo, l'allegorismo. 
La visione medievale è eminentemente simbolica. Ogni aspetto del mondo non vale solo per sé, non ha un significato in sé concluso, come è per la visione moderna, ma rimanda sempre ad altro, a qualche cosa che è al di là delle semplici apparenze, a qualche cosa di più alto, in cui è inserito e che gli dà significato: il disegno di Dio, e l'uomo su questa terra può solo avvicinarsi ad essa, coglierne un'ombra o un riflesso. Questa concezione si riflette in quelle opere tipicamente medievali che sono i bestiari, gli erbari, i lapidari, sorta di enciclopedie dove si descrivono i significati simbolici e morali degli animali, delle pietre, delle piante. Questo atteggiamento teso alla ricerca di significati riposti, oltre che nella lettura del "libro" della natura, si manifesta nella lettura dei libri veri e propri. Da questo cercare nei testi "altro" da ciò che essi dicono a prima vista, deriva appunto il cercare nei testi "altro" da ciò che essi dicono a prima vista deriva appunto il termine "allegoria", che proviene dal greco állon (altro) e agoréuo (dico).
Il metodo di lettura allegorico dei testi fu applicato già dalla cultura pagana della tarda latinità, poi fu esteso dalla cultura cristiana alla lettura delle sacre scritture, dove, nei fatti della storia degli Ebrei, si scorgevano significati morali.
Sin dai primi secoli del Medioevo si afferma l'uso di individuare quattro livelli di senso nelle scritture, sia quelle sacre sia quelle letterarie. Come riassumerà Dante nel "Convivio", ogni testo può essere interpretato secondo quattro sensi di lettura:

un livello letterale, che riguarda il significato di superficie immediatamente percepibile, la favola o la trama;
un livello allegorico, in cui la parola rimanda ad un altro significato;
un livello morale, che dai fatti narrati e dal loro significato intende ricavare un modello di comportamento, volto a indicare un'idea del bene e della virtù;
un livello analogico, relativo ai più alti misteri della religione e della fede, che risolve tutti i significati del testo alla luce della verità divina.
La lettura allegorica era applicata anche alla storia. E' questa una variante particolare dell'allegoria, quella figurale. Mentre nell'allegoria vera e propria il primo termine della simbologia è fittizio o immaginario, nella visione figurale esso è un dato reale e storico. In riferimento al piano divino che regola lo svolgimento di tutta la storia umana, un determinato fatto storico viene assunto a significare altri eventi successivi, il primo sarà la "figura", il secondo il "concepimento".


MANCANZA DI SENSO DELLA STORIA 

Il Medioevo non aveva il senso della profondità storica, della distanza del passato e della sua differenza rispetto al presente. Il senso di profondità storica e lo spirito critico riguardo ai fatti e alle fonti nascerà con l'Umanesimo, nel Quattrocento. Inoltre per l'uomo medievale la storia non era il prodotto di forze umane che si combinassero tra loro, ma era il dispiegamento del piano sovrannaturale e provvidenziale di Dio. Anche della storia si aveva una visione trascendente.

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