“ero bello di tormento, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. Poi fuggii.”
Quando si parla di lui e delle sue intricate poesie non si tralascia mai di dire che entrava e usciva del manicomio, il più delle volte senza permesso.
Noi preferiamo ricordare che Campana aveva un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda già da piccolo e che non faceva mai una cosa sola alla volta. Se questo fosse l'effetto di un "male oscuro" è difficile dirlo.
Di sicuro la reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri dove si dedicava ai mestieri più disparati per sostentarsi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il ricovero in manicomio.
E poi veniva visto con sospetto per i tratti somatici, che venivano giudicati germanici, e per l'impeto con cui discuteva di poesia e filosofia.
Morì nel 1932, per una ferita infetta che si era procurato saltando il filo spinato del manicomio di Firenze.
Fu un vero poeta?
Un genio lo fu di sicuro. Nel 1913 Campana si reca a Firenze e presenta alla redazione della rivista "Lacerba" il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Non viene preso in considerazione e il manoscritto va perduto (sarà ritrovato solamente nel 1971)
Nessuno lo contatta. Dopo un po' Campana torna per riprendersi il manoscritto. Nessuno sa niente. Scrive e implora insistentemente senza altro risultato che il disprezzo e l'indifferenza di tutti. Alla fine, nell'inverno del 1914, convinto di non poter più recuperare il manoscritto, Campana decide di riscrivere tutto affidandosi alla memoria ed ai suoi abbozzi, in pochi giorni, lavorando anche di notte e a costo di un enorme sforzo mentale, riesce a riscrivere il canzoniere. primavera del 1914, Campana riesce finalmente a pubblicare a proprie spese, la raccolta, con il titolo di "Canti Orfici".
ha una sintassi "campaniana" fatta di ripetizioni e di blocchi contrapposti. Ha una logica né causale né spazio- temporale, che ricorda le tecniche pittoriche del cubismo
Ondulava sul passo verginale
ondulava la chioma musicale
nello splendore del tiepido sole
eran tre vergini e una grazia sola
ondulava sul passo verginale
crespa e nera la chioma musicale
eran tre vergini e una grazia sola
e sei piedini in marcia militare.
“ero giovane, [...] prestavo allora il mio enigma alle sartine levigate e flessuose, consacrate dalla mia ansia del supremo amore, dall’ansia della mia fanciullezza tormentosa assetata. Tutto era mistero per la mia fede, la mia vita era tutta – un’ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull’abisso -. Ero bello di tormento, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. Poi fuggii.”
Per i Simbolisti , da Baudelaire in avanti la poesia è fatta di immagini e di evocazioni. essa serve a scoprire le corrispondenze tra ciò che appare e ciò che è vero. Per Campana la Natura è un mistero. Egli non capisce il male sulla Terra, allora non può che scrivere il mondo nelle sue poesie, sperando di trovare nella scrittura la traccia di una risposta
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