Il testimone/autore che ha “visto”, “compreso” e rende lode e il pellegrino/personaggio che indica la “strada” percorrendola insieme al lettore.
di Claudio Mengarelli
Nel periodo che segue la morte di Beatrice, Dante ha un “profondo smarrimento” che lo porta a riflettere sul senso della vita.
Utilizza, quindi, la figura retorica dell’allegoria, con la quale un concetto viene evidenziato attraverso un'immagine che ne “sintetizza/illustra” il senso, per produrre un'opera in cui esprime le sue idee le sue riflessioni e la sua visione del mondo. Visualizza tutto questo come un viaggio di sette giorni, attraverso i tre Regni metafisici, a cui si rifà la teologia Cristiana, per inquadrare la vita ultraterrena, in attesa del Giudizio Universale: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Il suo è un viaggio di salvezza che conduce dall’oscurità alla luce, dallo smarrimento (la selva oscura), alla comprensione degli errori compiuti, dal male al bene, dalla bestialità dell’uomo (le tre fiere del I canto) alla sua spiritualità (la figura di Beatrice).
Per giungere alla beatitudine, si devono comprendere le conseguenze negative del male e degli errori (Inferno), quindi intraprendere un cammino di purificazione che comporta sofferenza e riflessione (Purgatorio), per giungere infine alla fase finale della beatitudine (Paradiso).
Attraverso i suoi “incontri” nei tre Regni, Dante offre un compendio di tutto lo scibile accumulato dall’uomo fino ai suoi giorni, con il duplice intento di rendere testimonianza della “perfezione” del disegno divino e di sollecitare nel proprio lettore un “cammino di conversione verso di esso”, rivivendolo con lui, passo dopo passo.
E’ proprio in questa doppia finalità che va inquadrato il dualismo, presente in tutta la Commedia, del Dante-narratore (che ha percorso tutto il cammino e che ne dà testimonianza, alla luce della verità che gli è stata rivelata) e del Dante-personaggio (che ri-vive il viaggio, entrando in empatia col lettore e facendogli vivere, i suoi stessi turbamenti, le sue stesse paure, il suo stesso processo di “comprensione” delle cose e del loro perché).
Per esercitare questa “doppia forza” sul lettore, il Poeta si “sdoppia”.
Si pone, in veste di narratore, come figura superiore e di riferimento, l’uomo che è forte di aver già vissuto tutto quanto, sicuro della grandezza che gli è stata rivelata, e spesso, si “estrania dal racconto” per proporre le sue considerazioni e richiamare l’attenzione.
In veste di personaggio (il pellegrino), si presenta, invece, come figura insicura e curiosa, che necessita della guida di mente/spirito superiori (Virgilio/Beatrice) per accettare/comprendere la realtà che gli si pone davanti, che sente spesso, soprattutto all’inferno, il conflitto fra il senso di “giustizia” e quello di misericordia (come con Paolo e Francesca, con Ulisse, con il Conte Ugolino), che è “pari” al lettore, che vive le sue stesse angosce, le sue stesse resistenze, rendendo credibilmente realizzabile per chiunque, quel viaggio straordinario che solo a lui è stato dato di compiere.
L’essere su un piano di “superiorità”, consente a Dante di ammantare di un’enorme autorevolezza quella che è una sua visione del mondo, di “giudicare” comportamenti e personaggi, anche suoi contemporanei, ma potrebbe alienargli quella “simpatia” del lettore, quella condivisione delle sue sensazioni, e, alla fine, anche delle sue considerazioni e degli “insegnamenti che lui trae”, che solo essere suo pari gli consente, e che lui vuole, per coinvolgere il lettore, affinché, non solo assista al suo viaggio, ma intraprenda il proprio, dalla sua personale “selva oscura” alla luce, che è una e sola, per Dante e per lui.
Questa “doppia forza”, consente a Dante, di ripetere su ogni lettore, lo stesso “incantesimo” che ha stregato i suoi contemporanei, facendo della Commedia uno dei primi “best seller” della letteratura.
Affianchiamo ancora oggi, il Dante/personaggio, nel suo viaggio favoloso, spaventandoci e piangendo con lui, condividendo la sua voglia di sapere le storie dei poveri dannati, di “aiutarli”, di “perdonarli”, e anche il suo disprezzo nei confronti di altri, mentre il Dante/narratore ci conduce, con pazienza, verso un Paradiso di bellezza e di gioia, dove, narratore e pellegrino, poeta e uomo, ridiventano uno…attraverso un Purgatorio di pena e riflessione al quale, proprio come Dante, sentiamo di appartenere, per non essere né troppo immodesti nel considerarci “grandi peccatori” da girone infernale, né troppo superbi da ritenerci degni di celestiali beatitudini.
In questa capacità di insegnare e coinvolgere, spiegare e, contemporaneamente, lasciar maturare al lettore, il senso delle cose, sta lo straordinario e universale valore della Divina Commedia, pensata e scritta per gli uomini del tardo medioevo ma straordinariamente e sempre attuale, per noi e per le generazioni che verranno.
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