da "Lo stupro nell'antica Roma tra condanna politica e strumentalizzazione"
Tesi di Laurea di Martina Ianne
"In un simile, anomalo contesto di libertà femminile, anche e forse soprattutto sessuale, è opportuno inserire anche il ritratto emblematico di Clodia, la Lesbia cantata con passione e tormento da Catullo, la quale intrecciò con quest’ultimo (e poi anche con il giovane Celio Rufo) un rapporto adulterino alle spalle del marito di lei, Quinto Metello Celere. Nata con il nome patrizio di Claudia Pulcra, era figlia di Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a.C. era nobile, bella, raffinata, abile nel conversare, disinvolta e sicura di sé, teneramente amata dal poeta novus nel periodo felice e da lui stesso disprezzata con ferocia in seguito alla fine della loro storia, Clodia rappresentò un tòpos sia letterario che umano, ben radicato nella mente maschile, «della donna che nella realtà di un rapporto respinge o delude ogni pretesa di esclusività.» Volubile e, all’età di trentatré anni (61 a. C.), impegnata in delle relazioni clandestine con due uomini molto più giovani di lei, ella fu descritta come una donna dissoluta e sfrenata non soltanto nei versi del suo amante tradito, ma anche in un’orazione di Cicerone, il quale, per difendere il suo assistito dall’accusa di furto e veneficio e, al contempo, per colpire il suo acerrimo nemico, il fratello di lei Clodio.
Fu etichettata come in cui viene definita «quadrantaria», ovvero «prostituta da quattro soldi» e «Clitemnestra», perché accusata di aver avvelenato il marito per potersi dedicare agli eccessi di una vita trascorsa tra feste orgiastiche, organizzate sia a Roma che nella sua villa di Baia. Cicerone ne demolì totalmente la figura, arrivando addirittura a definirla incestuosa e a dipingerla come il risultato peggiore a cui la trasgressione dei sani principi avesse mai dato vita: il modello antitetico dell’ideale di matrona incarnato da Lucrezia.
Identificando questa sfacciata promiscuità ed il mancato rispetto dei ruoli di genere con la causa primaria della corruzione morale dell’Urbe, una volta ottenuto il potere, Augusto si propose come il «restauratore del mos maiorum a carattere androcratico», impegnandosi a perseguire per via legale tutti gli illeciti di natura carnale. Lo scopo di questa politica moralizzatrice era quello di ristabilire l’ordine pubblico esaltando ed incentivando il tradizionale ruolo educativo della famiglia patriarcale, a discapito di ogni eros extraconiugale e di qualsiasi condotta discutibile potesse rappresentare un pericolo per la rispettabilità delle domus, le quali dovevano tornare ad essere il centro costitutivo ed il cuore pulsante dell’intera società.
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