II secolo a.C. Alessandria d’Egitto
Un giovane scriba egiziano incide, sotto dettatura, l’elegante inno di Saffo ad Afrodite su un ostrakon di terracotta. I caratteri greci sono irregolari, la scrittura è continua. Un colpo.. Il coccio si spezza sul lato destro. Le parole ouranothen katiousa si frantumano sul grembo del ragazzo che suda freddo, temendo la verga del maestro.
Non sa che tutta la migliore scuola tedesca di filologia greca si scontrerà, 2000 anni dopo, in un diluvio di interpretazioni per ricostruire, o meglio “emendare”, quel finale di verso.
XXI secolo, liceo scientifico. Ora di latino.
La prof proietta sulla LIM l’ode saffica del coccetto egizio, a testimonianza della sacralità del tiaso, per poi presentare la struggente ode del Sublime di Saffo, che Catullo tradurrà “liberamente” nell’immortale carme 51 dedicato alla sua Lesbia. Saffo sulla LIM. I versi di Catullo sulla LIM. L’ostrakon egizio è diventato digitale. Ma la potenza devastante dell’amore, espressa da Saffo, è rimasta intatta. (Silvia Fontana)
https://docs.google.com/document/d/1d2KyGW2k86Q_fPS-DJWbyEp4MLO6Q-tSzZxVir4EFxs/edit?usp=sharing
Catullo 51
Ille mi par esse deo videtur,
Ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore>.
Lingua sed torpet, tenuis sub artus
fiamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
Otium, Catulle, tibi molestum est,
otio exultas nimiumque gestis;
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
Traduzioni italiane
1. Giovanni Andrea dell’Anguillara (1572)
Parmi quell’huomo eguale essere à i Dei,
qual diritto à te siede,
E dolce ragionar ti sente, e vede
Rider soavemente.
Questo à me il cor nel petto batte, e fiede:
Perché mentre mi sei
Opposta, si che con questi occhi miei
Ti vegga immantinete,
Non ho à voce formar virtù possente;
Ma impedita la lingua muta viene,
E sottil fuoco presto
Passami per le vene.
Perdon l’ufficio gli occhi di mirare,
L’orecchie d’ascoltare.
Gelo è il sudor, tutta tremante resto.
Più c’herba secca di pallor dipinta,
Priva di spirto, assembro quasi estinta.
2. De’ Rogati (1782)
Contento al par de’ Numi
Parmi colui, che siede
Incontro a’ tuoi bei lumi
Felice spettator;
Che sparse le tue gote
Talor d’un riso vede,
Ch’ode le dolci note
Del labbro tuo talor.
Al riso, a’ detti usati
Il cor, che s’innamora,
Fra i spiriti agitati
Non osa palpitar.
Veggo il tuo vago aspetto
E alle mie fauci allora
Non somministra il petto
Voce per favellar.
Tenta la lingua invano
D’articolar parola,
Corre un ardore insano
Di vena in vena al cor.
Un denso velo il giorno
Alle mie luci invola;
Odo confuso intorno,
Ma non so qual rumor.
Largo sudor m’inonda,
Spesso tremor m’assale,
Al par d’arida fronda
Comincio a impallidir,
Sì nelle membra fredde
Langue il calor vitale,
Che a me vicin rassembra
L’istante del morir
3. Ugo Foscolo (1790)
Colui mi sembra agli alti Dei simile
Che teco siede, e sì soavemente
Cantar t’ascolta, e in atto sì gentile
Dolce ridente.
Com’io ti veggio, palpitar mi sento
Nel petto il core, in quel beato istante
Non vien più suono d’amoroso accento
Sul labbro ansante.
Muta s’intrica la mia lingua: accensa
Scorre ogni vena, ronza tintinnio
Dentro gli orecchi; notte alta s’addensa
Sul guardo mio.
Sudor di gelo le mie guance inonda.
Fremito assale e abbrivida ogni membro,
E senza spirti, pallida qual fronda
Morta rassembro.
3 bis. Ugo Foscolo (1821)
Quei parmi in cielo fra gli Dei, se accanto
Ti siede, e vede il tuo bel riso, e sente
I dolci detti e l’amoroso canto! -
A me repente
Con più tumulto il core urta nel petto:
More la voce, mentre ch’io ti miro,
Sulla mia lingua: nelle fauci stretto
Geme il sospiro.
Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo:
Un indistinto tintinnio m’ingombra
Gli orecchi, e sogno: mi s’innalza al guardo
Torbida l’ombra.
E tutta molle d’un sudor di gelo,
E smorta i viso come erba che langue,
Tremo e fremo di brividi, ed anelo
Tacita, esangue.
4. Paolo Costa (1823)
Gli dei per fermo agguaglia, anzi si gode
Gaudio più che divin quei che sedente
Al tuo cospetto te rimira ed ode
Dolce ridente.
Che se l’alta ventura unqua mi tocca
D’esserti appresso, o mio soave amore,
Non io ti guardo ancor, che sulla bocca
La voce muore.
Fassi inerte la lingua, il pensier tardo,
Un sottil fuoco va di vena in vena,
Fischian gli orecchi, mi s’appanna il guardo
E veggo appena.
Un gelido sudor tutta m’inonda,
Mi trema il cor, rabbrivida ogni membro,
Mancami il fiato, e pallida qual fronda,
Morta rassembro.
5. Felice Cavallotti
Pari agli Iddii sembrami l’uom che a fronte
Siedati, e ’l guardo entro lo sguardo fiso,
Dolce parlar t’oda vicin, soave-
mente ridendo.
Ecco a me in seno violento batte,
Battemi ’l core, e ’n rimirarti a pena
Stretta la voce entro le fauci muore,
Torpe la lingua.
Foco leggier sotto la pelle serpe
Ratto, ed un velo a le pupille scende;
Non vedo più: confusamente ronza
Fischio a l’orecchie.
Freddo sudor largo mi scorre; e tremo
Tutta; e più d’erba arida, smorta sono;
Ed a morir quasi vicina, parmi
Manchi lo spiro.
6. Giovanni Pascoli
A me pare simile a Dio quell’uomo,
quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso
tutto in te, da presso t’ascolta, dolce-
mente parlare,
e d’amore ridere un riso, e questo
fa tremare a me dentro al petto il core;
ch’ai vederti subito a me di voce
filo non viene,
e la lingua mi s’è spezzata, un fuoco
per la pelle via ch’è sottile è corso,
già non hanno vista più gli occhi, romba
fanno gli orecchi
e il sudore sgocciola, e tutta sono
da temore presa, e più verde sono
d’erba, e poco già dal morir lontana,
simile a folle.
7. Manara Valgimigli
Beato è, come un dio,
chi davanti ti siede e ti ode,
e tu dici dolci parole e dolcemente sorridi.
Subito mi sobbalza, appena
ti guardo, dentro nel petto il cuore,
e voce più non mi viene e mi si spezza
la lingua, e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle,
con gli occhi più niente vedo,
romba mi fanno
gli orecchi, sudore mi bagna
e tremore tutta mi prende,
e più verde dell’erba divento
e quasi mi sento,
o Agallide, vicina a morire.
8. S: QUASIMODO
Come uno degli Dei, felice
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosa. Subito a me
il cuore in petto s’agita sgomento
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Rapido fuoco affiora alle mie membra,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
9. V. DI BENEDETTO (1987)
Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli
e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore e il petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire,
ma la lingua mi si spezza e sùbito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie
e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa.
Ma tutto si può sopportare, poiché ...
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P. LA MURA
Prossimo agli dei mi sembra l'uomo
che ti siede di fronte, e ascolta
da vicino il suono della tua voce
dolce, e il tuo riso
Affascinante che mi fa balzare
repentino il cuore in petto; poiché
quando t'incontro all'improvviso la
voce mi manca,
Prendo a balbettare, ed un incendio
mi percorre rapido sotto pelle,
gli occhi non vedono più niente, le
orecchie ronzano,
Incomincio a sudare, e sono
tutta presa da un tremore; divento
più emaciata della paglia, e sembro
quasi morente.
Ma tutto si sopporta...
?
Mi sembra che sia uguale agli dei
quell’uomo che di fronte a te
siede e (standoti) vicino ascolta (te)
che parli dolcemente
e amabilmente ridi, e questo davvero
mi fa balzare il cuore nel petto,
come infatti io ti vedo, subito
non mi è più possibile dire nulla,
ma la lingua si spezza, sottile
un fuoco subito mi scorre sotto la pelle,
non vedo nulla con gli occhi,
ronzano le orecchie,
un freddo sudore mi avvolge, un tremito
(mi) prende tutta, e più verde dell’erba
(io) sono, e poco lontana dall’esser morta
sembro a me stessa.
Ma tutto si può sopportare, poiché….
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